2 APRILE ’09 – NAPOLI
ORE 17.00- davanti al fatebenefratelli
(via manzoni 20, 5000mt fermata metro mergellina)
PRESIDIO – SIAMO TUTTE CLANDESTINE!!
Solidarietà a Kante.
Contro pacchetti sicurezza e norme xenofobe
che ci vogliono distinguere in cittadine/i con e senza diritti,
rispondiamo che
SIAMO TUTTE CITTADINE DEL MONDO E ANDIAMO DOVE CI PARE!
(da Repubblica)
Clandestina denunciata dai medici dopo il parto al Fatebenefratelli
Ora Abou sorride in una culla povera, dentro le case-alveare per
immigrati clandestini o regolari di Pianura. È un neonato nero che
non sa di avere ventisei giorni di vita e, alle spalle, già
un’amara esperienza del mondo. Abou è il volto di un caso politico
e sociale. Forse la prima volta in Italia in cui una norma – quella
voluta dalla Lega nel pacchetto sicurezza, quella che invita i
medici a denunciare i pazienti senza permesso di soggiorno: ma a
tal punto controversa da avere spaccato persino i compattissimi
deputati del Pdl – è stata applicata prima ancora di diventare
tale.
"Un caso illegittimo, gravissimo", denuncia l’avvocato napoletano
Liana Nesta. "Delle due l’una – aggiunge il legale – o
nell’ospedale napoletano Fatebenefratelli c’è un medico o un
assistente sociale più realista del re che ha messo in pratica una
legge non ancora approvata dagli organi della Repubblica; oppure
qualcuno ha firmato un abuso inspiegabile ai danni di una madre e
cittadina". Una storia su cui promettono battaglia anche gli
operatori dell’associazione "3 febbraio", da sempre al fianco degli
immigrati, anche clandestini, per le battaglie di dignità e
rispetto.
La storia di Abou e di sua madre Kante è il percorso sofferto di
tante vite clandestine, costantemente in bilico tra vita e
disperazione, morte e rinascita. Kante è vedova di un uomo ucciso,
quattro anni fa, dalla guerra civile che dilania la Costa d’Avorio
e la sua città di Abidjan. Rifugiatasi in Italia nel 2007, inoltra
subito richiesta di asilo politico, che le viene negato due volte:
e attualmente pende il ricorso innanzi al Tribunale di Roma contro
quella bocciatura.
Intanto, stabilitasi a Napoli, Kante si innamora di un falegname di
Costa d‘Avorio, resta incinta, si fa curare la gravidanza difficile
presso l’ospedale San Paolo, con sé porta sempre alcuni documenti e
la fotocopia del passaporto, trattenuto in questura per un’istanza
parallela di permesso di soggiorno, non ancora risolta.
Quando – il 5 marzo scorso – Kante arriva all’ospedale
Fatebenefratelli per partorire il suo bimbo ("al San Paolo non
c’era un posto"), dal presidio sanitario scatta un fax verso il
commissariato di polizia di Posillipo che chiede "un urgente
interessamento per l’identificazione di una signora di Costa
d’Avorio". Ovvero: la denuncia. Esattamente ciò che la
contestatissima norma – voluta dalla Lega nell’ambito del pacchetto
sicurezza, e già approvata al Senato – chiede. Proprio il nodo che
ha provocato il dissenso di un centinaio di deputati del Pdl, lo
scorso 18 marzo. In testa, la deputata Alessandra Mussolini, che
guidava la rivolta con un esempio-limite: "Far morire una donna
clandestina di parto perché non può andare in ospedale altrimenti i
medici la denunciano? Eh, no. Inaccettabile".
Aggiunge l’avvocato Nesta: "Siamo di fronte a un’iniziativa senza
precedenti. Non è mai accaduto che una donna extracomunitaria, che
si presenta al pronto soccorso con le doglie, ormai prossima al
parto, venga segnalata per l’identificazione", spiega pacatamente
Liana Nesta. E aggiunge: "Come se non bastasse, Kante non ha potuto
allattare suo figlio nei suoi primi giorni del ricovero: lo ha
visto per cortesia di alcuni sanitari che glielo hanno adagiato tra
le braccia, ma non ha potuto allattarlo". La Nesta è una legale
impegnata da anni nelle rivendicazioni dei diritti essenziali, al
fianco di immigrati o di parenti di innocenti uccisi dalle mafie.
L’ultima condanna, in ordine di tempo, la Nesta l’ha ottenuta a
dicembre scorso, come avvocato di parte civile, per i killer di
Gelsomina Verde, la ragazza innocente assassinata e poi data alle
fiamme dai sicari di Scampia. Un’altra fragile vita per la quale
invocare giustizia.
L’incubo di Kante in ospedale
"Mi hanno strappato il bambino"
Parla Kante la madre clandestina della Costa d’Avorio denunciata dopo il parto al Fatebenefratelli
Occhi grondanti dolore per la storia vissuta nel suo Paese, la Costa d’Avorio in guerra civile, e per lo schiaffo subito in Italia. Kante è stata denunciata dopo il parto: è clandestina.
Occhi appannati dal dolore, ma ritrovano vita quando Abu, 26 giorni che gli sono bastati a superare i 3 chili e mezzo di peso, si volta verso il suo seno. Ha fame Abu. Vuole il latte. "Ma in ospedale mi hanno impedito di allattarlo, per quattro giorni". Kante viene dalla Costa d’Avorio. È in Italia da due anni, da quando sulla porta di casa le milizie governative del presidente Gbagbo le uccisero il marito. "L’ho visto morire dinanzi ai miei occhi. L’ho visto uccidere. A stento sono riuscita a sottrarmi ai miliziani che volevano portarmi via, sequestrarmi. E sono fuggita dalla guerra civile. Ho chiesto asilo politico qui in Italia, ma sono ancora senza documenti".
Il giorno della nascita di suo figlio Abu, il 5 marzo scorso, è cominciato, per Kante e il suo attuale compagno, un nuovo incubo. "In ospedale ci hanno chiesto i documenti, non gli è bastata la fotocopia del passaporto. Non gli è piaciuta la richiesta di soggiorno ormai scaduta. E per oltre 10 giorni mi hanno tenuta separata dal bambino". Undici giorni è rimasto Abu in ospedale: "Non lo hanno dimesso, non me lo hanno dato, fino a quando la Questura ha confermato la mia identità. Ho temuto che me lo portassero via, che non me lo facessero stringere più tra le braccia". Neppure il padre del bambino ha ottenuto che venisse dimesso: "Non ero presente al momento del parto – racconta l’uomo, Traore Seydou – E quindi il piccino è stato registrato con il nome della madre. "Non possiamo consegnarlo a te" mi hanno spiegato in ospedale. D’altra parte anche io sono senza permesso di soggiorno, in attesa che venga accolta la mia richiesta di asilo politico".
Kante ha 25 anni, 33 il suo nuovo compagno, Traore. "Il parto è andato bene, nessuna complicazione. Ma non mi sono allontanata dall’ospedale fino a quando non mi hanno permesso di portare Abu con me. Sono rimasta lì, per 11 giorni. Certo ora, col bambino, diventa più difficile trovare un lavoro qui a Napoli. Però per 6 mesi non potranno cacciarmi dal Paese". Niente foglio di via, per chi ha partorito sul territorio nazionale. "Ma dopo?" L’idea di tornare in Costa d’Avorio la terrorizza. "Anche se mi piacerebbe rivedere il mio primo figlio, che ora ha 5 anni e vive con la nonna". Traore, che in Africa faceva il falegname, si arrangia con lavoretti che riescono appena a sfamare la famiglia e a permettergli di mantenere la povera casa, a Pianura, che i due dividono con un’altra coppia.
"Troviamo assurdo quello che ci è successo – raccontano entrambi – credevamo che l’Italia fosse un Paese ospitale. Qui la gente non è cattiva. Mai sentito di madri denunciate dagli ospedali in cui avevano partorito". Per i nove mesi della gravidanza Kante era stata seguita – con tanto di accertamenti e controlli medici – dai sanitari dell’ospedale San Paolo. Ed a nessuno era venuto in mente di rivolgersi alle forze dell’ordine. "Ma il giorno in cui mi sono venute le doglie al San Paolo non c’era posto. Quando alle 22.30 siamo andati al Pronto soccorso di quest’ospedale mi hanno assicurato che tutto procedeva regolarmente, ma che era presto per ricoverarmi. Hanno aggiunto che comunque posti non ce n’erano e quindi, dopo qualche ora, ci siamo rivolti al Fatebenefratelli. Ed è lì che dovremo portare il bambino ad un controllo medico, tra qualche giorno".
(31 marzo 2009)