TV non ne voglio più!

Premesso che ormai da sette anni "la mia televisione" rappresenta solo un supporto per il lettore DVD e/o VHS, poche sere fa decido di provare a guardarla nuovamente, l’insana decisione riguarda la messa in onda di un documentario (addirittura!) su raitre sull’EMERGENZA SOCIALE!! LA COCAINA! …ieri sera ci riprovo con 1977 UN DIARIO IN BIANCO E NERO sempre su raitre.

Trovo semplicemente sconcertante l’inadeguatezza e la superficialità di questi tentativi di informazione mistificata e strumentale!

"Cocaina" non ce l’ho fatta neanche a vederlo tutto, dopo lo sbirro milanese che con faccia candida e vestito come rambo cinquantenne dice all’arrestato "…ma lo facevi davanti ad un bambino… e questo non è giusto" oppure "..davvero.. raccontami, ti ascolto, perchè lo fai? per noia?"  …. ho naturalmente spento, neanche Starsky e Hutch era così finto !!! (per non parlare della descrizione fisica, fatta dal medesimo poliziotto, del prototipo milanese dello spacciatore di coca: nero, cappellino, jeans larghi, telefonino… e poi nero sicuramente (?????)). 

Ierisera invece "77" è un perfetto esempio di come si può parlare per un’ora di una storia senza dirne assolutamente nulla! Anzi … trasformandola in altro: sembrava l’effetto di una nube tossica, tutti impazziti che sparavano senza motivo, un po’ fricchettoni un po’ PeterPan.. però c’era bella musica per fortuna, corrado, carrà… evvai!

Giuro solennemente che non mi verrà mai più la malsana idea di riaccendere la tv!!! (le puntate di report continuerò a scaricarle!)

 

 

  

BORN IN FLAMES_Lizzie Borden

Sto cercando il film "BORN IN FLAMES"…  qualcuno ce l’ha?  o può aiutarmi a trovarlo?

Graziegrazie! 

La cineasta bisessuale Lizzie Borden divenne famosa tra il pubblico gay e gli amanti del cinema indipendente a metà degli anni ’80, per i suoi film visionari dallo stile eclettico, dove l’attenta osservazione delle realtà sociali è sempre ispirata da una prospettiva femminista.
Lizzie Borden è nata il 3 febbraio 1958, figlia di un facoltoso agente di cambio. Il suo vero nome era Linda Elizabeth, ma quando da ragazzina imparò dai suoi amici una filastrocca sul noto caso giudiziario di Lizzie Borden (che, forse lesbica, nel 1892 a 22 anni fu processata e assolta per insufficienza di prove per l’ omicidio a colpi d’ascia del padre e della matrigna), provocatoriamente decise di cambiarsi il nome in Lizzie Borden.
Si convinse a cimentarsi nella cinematografia, dopo aver assistito ad una rassegna di film di Jean-Luc Godard. Imparò da autodidatta le conoscenze necessarie a girare un film.
Sebbene avesse già girato nel 1976 un film in bianco e nero intitolato “Regrouping”, il primo film della Borden che ricevette l’attenzione del pubblico e che poi è rimasto il suo più famoso, fu “Born in Flames” del 1983. Un film di fantascienza femminista ambientato in un futuro recente, dieci anni dopo una “seconda rivoluzione americana”, che ha portato all’instaurazione di un regime socialista negli Stati Uniti. Sebbene politici servili e annunciatori radiofonici rassicurino la gente che l’eguaglianza è stata finalmente raggiunta, ben presto si rivela l’ipocrisia della nuova società fortemente maschilista. Accompagnate da una colonna sonora di musica punk , le eroine del film, soprattutto lesbiche e di colore, inizialmente divise in vari gruppi, si coalizzano per combattere l’oppressione verso le donne presente nella nuova società.

DOMENICAUT_torna il 9 dicembre su Insu^tv !!

Domenica 9 dicembre dalle ore 16.00

in diretta dal Centro Sociale Officina 99 (Gianturco –  Napoli – Pianeta Terra

torna la trasmissione Domenicaut



[e… alle ore 20.00 cena sociale per Mimmo Mignano (sindacalista Fiat di Pomigliano licenziato dopo iniziativa contro la precarietà)]

…cavallo che vince non si cambia…. ritorna "DOMENICAUT", il format domenicale di Insu^tv,

telestreet dei movimenti napoletani che trasmette in etere nel centro di Napoli sul canale S19

(sul web 
www.insutv.it/domenicaut)

Clicca qui per vedere la mitica sigla !!!


"Domenicaut" è la prima trasmissione che ti invita a
spegnere la tv e venire a parteciparvi in diretta negli
studi di officina99 (via Gianturco 101),
Potrai dire la tua anche chiamando in diretta allo
3348743677 o scrivendo una email a info@insutv.it,
Tutta la puntata sarà disponibile in internet la settimana
successiva all’indirizzo http://www.insutv.it/domenicaut

Col consueto spirito "dell’insalata di rinforzo" proveremo a
mescolare insieme gli interventi musicali di Ciro Rigione
(ex Ciro Ricci – notissimo per "Chella va pazz pe tte", ma
impagabile per la mitica "Odio Lavorare") e le sue memorie
sulla precarietà di un neomelodico con le storie precarie
di donne migranti…

 

PRECARIAMENTE DONNE

“Precario, da prece, è chi prega per ottenere, per esempio, un lavoro come una grazia!”

Questo scritto è una bozza di alcune riflessioni (individuali e/o collettive) sulla precarietà fatte con A/matrix.

1)In quali contesti/attività utilizzi il termine lavoro?
Molte fra noi lavorano all’interno degli ambiti universitari dunque è purtroppo quasi inutile aggiungere, che tutte siano assolutamente precarie, dove per precarie troppo spesso si intende addirittura lavoro non retribuito! Ma non è un parametro che purtroppo appartiene esclusivamente al mondo universitario, io personalmente lavoro in un ambito ben diverso, lavoro come montatrice video, e il criterio è lo stesso, ho cominciato lavorando per ben due anni senza percepire alcun guadagno.
Questo direi che è un primo cambiamento interessante per il concetto di lavoro: il lavoro non è più necessariamente retribuito monetariamente.
Ma il lavoro non retribuito le donne lo conoscono bene, già trent’anni fa alcune femministe rivendicavano, in attesa della sua socializzazione, il salario per il lavoro domestico. Il lavoro di cura e ri-produzione continua purtroppo ancora oggi a non essere considerato come “lavoro” e soprattutto continua ad essere svolto esclusivamente dalle donne.
(E anche quando il lavoro di cura viene esternalizzato alle donne migranti, e quindi monetarizzato, resta immutata comunque la caratteristica della divisione sessuale del lavoro; questa forma del lavoro è l’unica che non sia strutturalmente cambiata.)
Dagli anni ’70 ad oggi, se si è prodotta la cosiddetta “femminilizzazione” del lavoro, non si è verificata però una “maschilizzazione” del lavoro di cura e di ri-produzione.


Questo significa che nonostante nel discorso politico corrente sia diffusa la consapevolezza di come le caratteristiche tipiche del lavoro “riproduttivo”, cosiddetto “femminile”, siano state imposte ed assimilate nella gran parte del lavoro comunemente considerato “produttivo” e siano divenute il paradigma della precarietà (che esige capacità relazionali, disponibilità e reperibilità assolute, mancata distinzione tra tempi di lavoro e tempi di vita, flessibilità), si continua a voler ignorare come non sia avvenuto il contrario. Non solo la maternità continua ad essere la prima causa di abbandono del lavoro, ma soprattutto le statistiche dicono che solo un padre su dieci si occupa dei figli in età prescolare.

2)     Quanto investi nel tuo lavoro? Trovi che il tuo investimento sia cambiato nel corso del tempo?
Purtroppo oggi quello che investiamo nel lavoro, come tempo e come energie, non è quello che desideriamo investire ma quello che “necessariamente” dobbiamo investire: ritrovandoci in situazioni in cui il compenso monetario è basso se non inesistente e senza alcuna garanzia, siamo costrette  a quella che si può definire “l’autonomia della lavoratrice”, parafrasando con accezione negativa il lavoro autonomo, intendendo la capacità individuale di costruirsi un modello frammentato di ambiti lavorativi che in qualche modo permettano la “sopravvivenza”. Il che descrive tempi divisi a fatica tra uno stage e una collaborazione a varie testate giornalistiche, piuttosto che, in situazioni come la mia, giornate divise tra un documentario e uno spot aziendale nelle ore notturne.

3)    Qual è il rapporto tra desiderio e lavoro, desiderio e denaro?
Di conseguenza il lavoro ci affatica sempre più, rifacendomi alle mie origini direi che il lavoro sta divenendo sempre più simile al lavoro come definito nel dialetto napoletano: lavoro in napoletano si dice “fatica”,  affatica ciò che stanca
e lo sfruttamento è innegabilmente qualcosa che stanca perché è sempre sinonimo di frustrazione.