Le condizioni della comunicazione artistica in questi anni stanno cambiando e stanno assumendo varie e multiformi sembianze. Questo cambiamento non nasce dal nulla ma accompagna l'evoluzione naturale del fare arte, creare per contaminazioni per condividere e facendo dell'opera d'arte un mezzo politico. Tutto ciò passa per diversi media, dalle reti telematiche alle Televisioni di strada. Si potrebbe parlare di una “guerriglia” dei media non istituzionali. Di una rivalsa dell'underground contro la cultura alta, quest'ultima ci viene proposta in modo poco discreto dalle istituzioni artistiche. Da anni si assiste alla presa di coscienza collettiva e alla sua espressione, un espressione che non sempre ha uno stesso linguaggio per esprimersi, ma fa della contaminazione il suo punto di forza. Linguaggi che vengono dalla strada, dalla Rete e da contesti multipli. Si comunica con codici binari e si usa ogni mezzo per conoscere/condividere con coscienza e senso critico. Un modo per renderci figli del nostro tempo ormai senza memorie, ma una nuova memoria collettiva si sta formando che si vuole parlare/tramandare animata e sostenuta da una umanità varia. Fatta del suo gergo e dei suoi riti. Una delle esigenze del video militante è quella di raccontare la realtà lontana da quelle “cento vetrine” che ci propinano ogni giorno. Nella realtà quelle vetrine sono state infrante.

 

Ciò che il mediattivista si propone di comunicare/esprimere è l'immediatezza dell'evento. la sua capacità di restituirci un'immagine di realtà che associamo istintivamente al vero. “Normalmente nella nostra società il video porta il peso del fattore verità. La maggior parte delle persone pensano che quello che si vede attraverso una telecamera sia la registrazione veritiera di un evento reale. Questa sensazione ha le sue radici in alcune caratteristiche del mezzo, come la possibilità di mostrare un'immagine “dal vivo”, che è spesso descritta dal punto di vista figurativo come una qualità di “immediatezza”: c'è differenza fra mostrare un quadro che raffigura una donna che partorisce piuttosto che trasmettere le immagini dell'evento reale.” La capacità del video di denunciare, con velocissime immagini interlacciate, la realtà che ci circonda emerge fin dall'inizio: la sua immediatezza, associata alla sua malleabilità, si rendono disponibili ad un'interpretazione del reale che, lontana dall'obbiettività, ne rappresenta comunque una descrizione fedele. E' questa una delle epressioni del video, in grado di e raccontare e denunciare particolari aspetti della realtà con modi espressivi ed estetici non lontani da altre opere d'arte. Questo stimolo alla denuncia attraversa dalla sua nascita il vastissimo ed eterogeneo mondo dell'arte video, anche se con fasi alterne. Per comprendere la storia dell'arte video militante bisogna guardare all' uso creativo del mezzo. Già con Wolf Vostell assistiamo ad un interesse all'uso creativo del video da parte degli artisti . “L'apparecchio televisivo è la scultura del ventesimo secolo”, dice Vostell nel 1958, a proposito di una delle sue prime opere. Le opere di Vostell tendono ad una rottura nei confronti del media televisivo,interpretando la funzione del video come una diversa coscienza rispetto alla coscienza massificata. Nel 1958 il suo primo TV dé-collage ,successivamente, nel 1961 agisce in un in un centro commerciale, con un muro di monitor ed agendo sul segnale televiso. Nella televisione Vostell vedeva l'emblema dell'incomunicabilità e di violenza del suo tempo, ma soprattutto, il simbolo del controllo mediatico. Un simulacro da violare e distruggere. La novità del lavoro di Vostell e quello di Paik, fino alla comparsa del portapack Sony, non è tanto quella di aver messo in scena, l'oggetto televisione all'interno dell'opera d'arte, ma nel tipo di rapporto instaurato con il mezzo televisione. Vostell metteva in discussione anche la circolazione della cultura. la comunicazione audiovisiva era pensata come libera ed autogestita, il linguaggio televisivo venne sfidato e ripensato solo a partire dalla comparsa del portapack. Con questo nuovo strumento si ebbe la possibilità di dare vita ad immagini e suoni propri, da potere condividere. Si assiste alla nascita di una comunicazione “altra”, “creando il potenziale per una produzione alternativa”. In un momento in cui le pratiche dell'arte erano state profondamente rivisitate, la vita quotidiana veniva rivalutata anche sul versante artistico. In questo contesto storico/artistico fortemente impegnato, permeato da un'ideologia forte, anche le possibilità offerte dalla telecamera venivano esplorate in maniera creativa. A partire dalla seconda metà degli Anni Sessanta, la distinzione fra artisti ed attivisti politici che utilizzavano il video era piuttosto labile, costituendo un articolato mondo underground. Nonostante le differenze vi erano alcuni tratti comuni. Una prima e fortissima esigenza, era riappropriarsi dei canali comunicativi contro il mainstream istituzionale. L'uso dei primi apparecchi si integrava benissimo con le neoavanguardie come ad esempio l'arte concettuale, la performance e la body art. L'impegno sociale permise di sviluppare nuove forme di sperimentazioni cominciando a creare quei crinali, dove si incontrano diversi linguaggi e sperimentazioni. In questa atmosfera libertaria e sperimentale assistiamo ad un raggruppamento dei vari movimenti antagonisti americani degli Anni Sessanta-Settanta. Cominciano a formarsi gruppi, circoli, situazioni collettive, sia per decidere collettivamente e in modo orizzontale delle posizioni ideologiche, e dei costi da sostenere. I gruppi si svilupparono rapidamente, guidate da gruppi come Videofreex, Raindance Corporation, e Ant Farm fra gli altri. La voce più famose di questi gruppi era la rivista Radical Software. Il video cominciava a divenire un mezzo di comunicazione “indipendente”, di cui bisognava indagare le caratteristiche specifiche. I video prodotti dai collettivi spesso erano documentari che si avvicinavano al cinéma vérité dove era forte l'impegno di una documentazione sociale, lontana dalla televisione dell'epoca. Nel 1971 nacquero le prime televisioni alternative, riunite sotto l'etichetta di Guerrilla Television, in cui si delineavano le caratteristiche della nuova televisione. Lo scopo era di creare un'alternativa al vecchio, esteticamente collassato e commercialmente corrotto, medium broadcast. L'esempio forse più riuscito e famoso di guerrilla television fu quella di Top Value Television (TVTV), fondata nel 1972 per realizzare dei programmi d'informazione sulle grandi convention dei partiti americani, la cui parabola è ben rappresentativa dei percorsi delle altre tv alternative. Provenienti dai collettivi video (Raindance, Videofreex ed Ant-Farm), i membri di TVTV seppero rinnovare il modo di fare televisione, di produrre e promuovere gli eventi, con uno stile intrigante, in parte debitore delle teorie del nuovo giornalismo, con cui si cercava di rendere i fatti vividi e interessanti come la fiction. Le tv alternative con la loro spinta innovativa, iconoclasta e rivoluzionaria si risolse in una innovazione nei modi e nelle forme del linguaggio televisivo. Ma le premesse rivoluzionarie delle strutture dell'informazione che si proponevano gli attivisti pochi anni prima non ci furono. I motivi del loro progressivo indebolimento vanno ricercati nella pressione del mercato e nelle crescenti difficoltà delle loro fragili strutture organizzative ed economiche.
Top Value Television chiuse i battenti nel 1978. 
Con l'avanzare del conservatorismo proprio degli Anni Ottanta si assiste ad un generale riflusso. L'uso politico del video fu messo in seria difficoltà. Se nel corso degli Anni Sessanta e Settanta avevamo assistito ad una tensione verso un uso libertario, sociale, del video, successivamente l'arte video, vive una fase di relativo stagnamento, mentre il video impegnato, artistico sopravvive in zone d'ombra. L'esperienza italiana gioca un ruolo importante per quanto riguarda l'uso politico del mezzo video, e alle sue potenzialità. Negli Anni Settanta in Italia assistiamo ad una opposizione esplicita e forte da parte degli artisti ad una situazione socio-politica e culturale. Siamo di fronte ad una prospettiva nella quale il lavoro dell'artista rende espliciti i meccanismi del fare arte. Il panorama artistico italiano si muove alla ricerca di un'energia primaria, tutto ciò contemporaneamente ad altri paesi europei e d'oltreoceano, che, mentre altrove si realizza nel movimento Fluxus, in Italia si realizza soprattutto nella strategia dell' "arte povera", arte antiformale come lo era quella di Fluxus, meno attenta però al rapporto con le nuove tecnologie. In Italia, come abbiamo visto, a parte sporadiche esperienze (prime fra tutte quella di Luciano Giaccari), il video tarda il suo sviluppo rispetto agli Stati Uniti. Arriverà nel 1970 con la mostra “Gennaio 70” , il video si mescola alle esperienze cinematografiche (come già era successo in passato con le avanguardie) di quegli anni ma si appropria in breve tempo dell'attenzione di artisti e attivisti. Si lavora con il video senza però riflettere troppo, perlomeno all'inizio, sulle specificità del linguaggio che veicola, in primo luogo rispetto al cinema ed alla televisione: come mezzo espressivo in mano agli artisti, il video stenta a dimostrare immediatamente la pluralità delle sue possibili articolazioni, nonostante proprio “Gennaio 70” dimostri una molteplicità di intenti. L'uso del video in Italia seppe da principio coniugarsi con l'impegno politico e sociale di cui era permeato, come abbiamo visto, il contesto artistico e intellettuale del tempo. Al di fuori delle gallerie d'arte, che circoscrivono in larga misura la sperimentazione video degli artisti, l'universo della produzione video militante si muove nei luoghi aperti dello scontro sociale e della lotta politica, in un contesto storico e sociale che cambierà i codici della comunicazione visiva e dell'informazione . I temi presi in considerazione sono ideologizzati, ma ben ancorati alla realtà del tempo, in rapida evoluzione: le lotte studentesche, l'emancipazione femminile, le condizioni dei lavoratori, le situazioni di marginalità vissute nelle carceri, piuttosto che nell'occupazione abusiva delle case da parte dei senzatetto. Gli autori, decidono di documentare la realtà senza veli, in maniera indipendente e consapevole, utilizzano il video uscendo dai tradizionali circuiti di fruizione: non solo riunioni politiche o circoli, ma, per aumentarne la portata “rivoluzionaria”, il video prende a circolare nei quartieri, durante le manifestazioni, per le strade. L'apporto nuovo è la possibilità di documentare il quotidiano, in dichiarata opposizione al potere istituzionale e al suo corrispettivo mediatico, il notiziario “di regime”. Favorita da possibilità tecnologiche, una generazione di autori militanti riesce a portare il video fra la gente. L'opera di Alberto Grifi e del Laboratorio di Comunicazione Militante costituiscono un importante esempio di video impegnato. Il gruppo Videobase, formato da Anna Lajolo, Guido Lombardi ed Alfredo Leonardi, fu, fra i vari gruppi militanti del tempo, una realtà che seppe unire ad una vasta produzione quantitativa, una precisa posizione ideologica e una sperimentazione avanzata e consapevole del mezzo audiovisivo. A volte autofinanziate, altre prodotte su commissione, alcune delle loro opere riescono così ad uscire dal circuito della stretta militanza per ritornare in quello delle mostre. Anna Lajolo, a proposito del metodo impiegato in un loro lavoro, racconta: “dopo avere raccolto alcune ore di registrazione su aspetti e problemi dell'isola, abbiamo cominciato a mostrarne delle parti in luoghi diversi. […] La presenza del televisore in quei luoghi insoliti e il suono che si diffondeva intorno richiamavano immediatamente molta gente. Alla fine della proiezione registravamo subito quello che le persone avevano da dire, da aggiungere, da commentare e da criticare”. Grazie a questo approccio innovativo, Videobase seppe raggiungere un marcato coinvolgimento delle persone impegnate direttamente nel dibattito. La novità è nella concezione del lavoro con il video, in quanto situazione in fieri .Il lavoro documentaristico di Alberto Grifi, dopo l'esperienza di “Anna” nasceva la volontà di fare controinformazione attraverso il mezzo video. Grifi avvertiva l'esigenza non tanto di documentare la realtà quanto quella, attraverso la pratica video di trasformarla. Con l'aiuto di altri videomakers (“videoteppisti”) nel 1976 documenta la festa organizzata dalla rivista “Re nudo” al parco Lambro a Milano. La festa avrebbe dovuto essere una sorta di Woodstock all'italiana, le immagini avrebbero dovuto documentare ciò che accadeva al festival. La realtà vide invece i giovani presenti al festival ribellarsi per l'impostazione commerciale, le telecamere furono “testimoni di un esproprio e sono state in grado, per leggerezza tecnica e soprattutto per la coscienza di chi le manovrava, di registrare degli avvenimenti che erano diventati politici”. Il video, inserito direttamente in un contesto sociale particolare come quello dei giovani presenti alla festa, diventa uno strumento di azione politica, mediante il quale si esprimeva il malcontento e si motivavano le proprie posizioni. Raccontate queste cose in trentasei ore di girato, “nel rivelare le insanabili contraddizioni interne al “popolo della sinistra”, il lavoro video su Parco Lambro rivela anche le strategie occulte, ma efficaci, del mantenimento del potere, offrendo un'importante lezione politica. Un altro aspetto dell'uso del video, a metà fra arte e comunicazione, è quello che produsse il Laboratorio di Comunicazione Militante, fondato a Milano nel 1976. L'intento era quello di produrre un'arte sociale, basata sulla chiarezza dei modelli comunicativi, attraverso i quali si esprimeva il dominio sulla comunicazione delle classi al potere. Ispirati direttamente da personaggi della politica e della comunicazione dell'epoca si propongono di analizzare i processi della comunicazione per svelarne i meccanismi. L'obiettivo del Gruppo di Comunicazione Militante è di fare arte attraverso la controinformazione. Una posizione del genere rifiuta il tradizionale circuito artistico opera-galleria-mercato e sul concetto di autore condiviso, rivendicando il diritto “sociale” all'arte: il nuovo proletariato doveva direttamente misurarsi con la comunicazione e la creazione artistica. Nascono in questo modo iniziative di animazione in luoghi d'aggregazione, organizzato facendo uso di diversi media ed in particolare il video. Il video, in questo modo, svela i meccanismi comunicativi della televisione, la sua costruzione di senso e di realtà, con un linguaggio che è un esempio ideale per capire il più ampio mondo dei media. Da Vita futurista (1916) a Ballet mécanique (1923) di Fernand Léger; dai film provocatori dei Dadaisti e dei Surrealisti ai lavori Pop di Andy Warhol, il cinema ha da sempre affascinato i pittori, sedotti dal desiderio di cimentarsi con l'arte del secolo moderno, e da loro adottato non solo come strumento di registrazione ma anche come mezzo di indagine temporale e direalizzazione dell'immagine. Ma cosa deve il cinema ai pittori? 
Le prime teorie sul cinema come arte nuova risalgono agli inizi del Novecento, esse mirano ad un tipo di ricerca che conferma la differenziazione del nuovo mezzo tecnico espressivo dalle arti tradizionali. Il problema di tradurre la composizione pittorica in termini cinematografici, è stato affrontato per prima dai pittori delle Avanguardie (Hans Richter, Viking Eggeling, Luis Buñuel, Salvador Dalì) e proseguito dai migliori registi americani degli anni Quaranta/Cinquanta (Maya Deren, Kenneth Anger, Stan Brakhage) che si collocano con i loro film in una posizione antagonista rispetto al cinema commerciale; fino all'affermarsi del cinema underground di Andy Warhol, autore di film che conoscono uno straordinario successo di critica e di pubblico.In Europa, il cinema underground si è sviluppato più lentamente rispetto a quello americano, soprattutto perché carente di strutture adatte a diffondere queste nuove tendenze. Come la maggior parte dei fenomeni provenienti dall'America, anche il cinema underground diviene una vera e propria moda in tutto il mondo. Anche il contesto italiano fu sensibile a questo fenomeno, gli artisti degli anni Sessanta erano attratti dalla cultura dei mass-media e dalle nuove forme dell'immaginario cinematografico come Adamo Vergine, Giorgio Turi e Alfredo Leonardi. 
La verifica incerta (1964) di Gianfranco Baruchello e Alberto Grifi, considerato da molti il manifesto del cinema indipendente italiano. Il nucleo del film è costituito da una serie di immagini di Marcel Duchamp girate nel 1963 da Baruchello. Nel resto del film, della durata complessiva di trenta minuti, i due registi tentano di distruggere con ironia la sintassi cinematografica hollywoodiana, scegliendo circa centocinquantamila metri di pellicola americana degli anni Cinquanta, Sessanta destinati al macero. Con la “Verifica incerta” assistiamo all'avvento di un nuovo modo di fare cinema, o meglio di “non fare cinema”, con questa opera la coppia Baruchello & Grifi rivoluzionano il linguaggio cinematografico. Il montaggio come possiamo notare guardando il film diventa una pratica di decostruzione del senso :”concepito secondo uno schema di “decostruzione della pellicola originale e poi di montaggio degli spezzoni unendo scene simili per soggetto o per azione, il film ha anticipato quella tecnica di demontage e montage che mira a decostruire il senso iniziale del film di partenza, a interrrompere i livelli di narrazione, a insinuarsi nel già fatto per spezzarne la continuità, la misura, l'unità. La discontinuità, la dismisura, la frammentazione e la perdita dunque di una qualsiasi nozione di unità e totalità venivano sperimentate e collaudate attraverso la concezione alla base di Verifica incerta.” Il film è figlio di due artisti che hanno fatto della sperimentazione e della arte impegnata un punto fermo. Baruchello, artista impegnato su più fronti dalla fine degli anni cinquanta fino ad oggi, lega con Grifi regista impegnato in documentari di carattere politico/sociale e dopo otto mesi di lavoro danno vita alla Verifica incerta.
Seattle 11-1999
Esiste un evento particolare che segna la nascita del mediattivismo a livello internazionale e locale, e sono le grandi manifestazioni contro la riunione del WTO a Seattle alla fine del novembre 1999.Le proteste di Seattle non nascono dal nulla, racchiudono esperienze controculturali che hanno radici lontane. Basta guardare alle BBS (Bullettin Board System) degli anni '80. Esperienze che hanno intuito l'utilizzo del nuovo media come internet per diffondere una controcultura che è capace di farsi sentire ovunque orizzontalmente. Esperienze nate dal cyberpunk, da gruppi legati all'autonomia e ai centri sociali. Le proteste citate nascono da un esigenza precisa: avere un mondo legato ad una vivibilità lontana dal concetto dello sfruttamento dell'uomo sull'uomo, di una globalità più vicina all'ambiente, di un umanità che lotta per la pace. Da qui le azioni di boicottaggio delle multinazionali con un commercio equo e solidale, da qui le azioni mediatiche di sensibilizzazione. Il messaggio di protesta e di guerriglia semiotica si diffonde di più nell'area di dominio del “sogno americano”, per poi diffondersi nella rete nella metà degli anni '90. Internet giocherà un ruolo importantissimo. Divenendo un luogo di incontro di scambio e collaborazione di vastissimi gruppi di vocazione liberale, in contatto con una galassia infinita di associazioni. ONG, media democratici,etc. che si occupano di varie problematiche culturali, economici e sociali che affliggono il sistema americano e il mondo ormai satellite. Ma ciò che è più importante è che la marcia contro il WTO, oltre ad essere stata una delle prese di coscienza più grande che ha portato al fallimento proprio nella giornata inaugurale, fu uno degli eventi mediatici più importanti, trasmesso in diretta in tutto il mondo e cosa importantissima che fu raccontato dagli stessi protagonisti. Tutte le notizie furono trasmesse senza filtri da Indymedia Seattle con ogni media possibile: testi, immagini, radio e video. Viste le dimensioni globali non è esagerato consideralo la fucina di una nuova cultura e di una nuova “forma mentis”. Quindi il mediattivismo ha avuto la possibilità di diffondersi come pratica e come forma culturale grazie a tre fattori: I) il verificarsi di grandi eventi che hanno visto come protagonista un movimento politico contrario ad un certo tipo di globalizzazione politica e culturale in atto; II) la presa di coscienza da parte di minoranze “sensibili” di questo movimento dell'esistenza di un fenomeno mediale globale oligopolio; III) il diffondersi delle tecnologie digitali a basso costo che hanno raggiunto una dimensione di utenza più vasta. Il mediattivismo tende ad assumere diverse forme e ad elaborare diversi contenuti a seconda dei media –web, video,radio,stampa- che utilizza e del contesto in cui agisce- globale,”regionale”,locale. l'autogestione dei media contro il monopolio dell'informazione e del pensiero attuato dai media istituzionali. La seconda si rifà, invece, al coinvolgimento ludico che trascina i mediattivisti. Per essi il gioco con i media è rappresentato dalle operazioni di montaggio e smontaggio delle “macchine”. Queste attività ricombinatorie e manipolatorie caratterizzanole culture dedite al “trashing”: quindi hacker così come”net artisti” ed anche programmatori di nuovi linguaggi informatici (Linux), questi ultimi sono in dispensabili per creare dei canali di divulgazione indipendenti dal resto dell'informazione. Ma quale è il tratto “collante” di questa nuova e futura “tribe”? E'che pur seguendo percorsi diversi si muove verso una mutazione antropologica orientata verso il cyborg, verso l'uomo macchina. Infine, la tendenza alla creatività è associata alla costruzione di un immaginario dove i media vengono interpretati come nuovi modelli di creazione, socialità e comunicazione. Di conseguenza queste tre tendenze generano nell'ottica della comunicazione delle immagini una situazione comunicativa intesa come narrazione collettiva, guerriglia comunicativa, una zona franca in cui si inventano nuovi linguaggi con sabotaggi mediatici. Queste tre tendenze vanno ad intrecciarsi tra di loro comunicano tra di loro, a volte scambiandosi i linguaggi e fecondandosi a vicenda.Il mediattivismo quindi- nascendo da una cultura di rete, dall'utopia cibernetica e dai romanzi cyberpunk- sembra avere una aura fortemente politica per il messaggio rivoluzionario insito nella volontà di autogestione delle risorse dei media e della creatività che rappresenta un punto cardine del mediattivismo. Ma il mediattivismo non è solo produttore e costruttore di soggettività poliche, bisogna sottolineare che i mediattivisti pur ponendosi contro l'informazione mainstream non rinunciano alla componente creativa e ludica all'interno delle loro scelte e alle attività intraprese. 
Il mediattivismo è veramente un fenomeno difficile da circoscrivere, quello che si vuole sottolineare è il carattere sfumato del fenomeno complesso e difficilmente circoscrivibile in delle denominazioni del mediattivismo, interpretabile come una pratica di azione comunicativa e politica allo stesso tempo, ma anche come una forma culturale legata alle cyberculture più dedite alla sperimentazione di nuovi linguaggi.. IL movimento in questione è relativamente giovane, in continua evoluzione, si trasforma con il trasformarsi delle tecnologie ed il linguaggio. Coniuga aspetti globali come Internet ed i satelliti, ad aspetti iper localistici come le street TV. Ha come attori una varia umanità di hacker , mediattivisti, militanti politici, smanettoni, antennisti, techno-freek, grafici, montatori video e audio, sistemisti, programmatori, esibizionisti, temerari video-maker, web master e via dicendo mossi da una condivisa retichetta. Il termine mediattivismo è un neologismo, di origine anglosassone, che sta ad indicare quelle molteplici ed eterogenee esperienze che cercano un azione (in Italia, in altri anni, si sarebbe forse parlato di militanza) sociale, politico o culturale, attraverso l'uso dei media, dapprima particolarmente attraverso la rete Internet, ma sempre di più anche attraverso media più tradizionali quali radio e televisione, quasi sempre ripensati e modificati in un contesto che ha comunque la rete informatica come infrastruttura di base (new media). Un puzzle di reti complesso e tutt'altro che omogeneo, una miriade di esperienze talvolta anche molto distanti e poco riconducibili ad un'idea comune di fondo, sia rispetto all'analisi del medium ma, soprattutto, riguardo ai contenuti e ai linguaggi da usare. La comunicazione indipendente e il mediattivismo, come forma culturale, sono stati innescati da eventi come Seattle N30 e Genova G8, spronati dall'emergenza monopolio, ma essenzialmente si sono sviluppati solo con la massiccia diffusione di tecnologie a basso costo, dei cosiddetti personal media e della rete. In questo si riscontrano evidenti analogie con la diffusione del video. Ci troviamo di fronte ad una vera e propria guerriglia comunicativa ,condotta principalmente attraverso i new media (PC e Web) permette infatti, a chiunque, di produrre l'informazione che vuole comunicare. L'informazione prodotta in questo modo soltanto se essa sarà un veicolo con cui costruire – divertendosi – delle narrazioni alternative, dei linguaggi nuovi, dei "simulacri pop", dei "nuovi memi", simboli, mondi (grandi e piccoli) di significato. In queste dichiarazioni è possibile scoprire dei richiami ai manifesti delle avanguardie artistiche, però il mediattivismo non assume un atteggiamento "snob" o di rifiuto di fronte alla cultura di massa dominante. Infatti per il mediattivismo la cultura di massa è il terreno di lotta comune in cui far fronte ai media corporativi .A tal proposito, un fondatore del progetto dichiara: "il nostro intento era di fare pop riot, il nostro slogan era «vuoi il pop? Ecco il pop» . Il mediattivismo tende ad insinuarsi come un'«interferenza culturale» all'interno dei flussi della cultura dominante e all'interno di un falso immaginario prodotto dalla Tv e dagli altri media di massa. Tale interferenza mira a disturbare la super-macchina dell'informazione massmediatica, cercando di ritagliarsi per sé spazi di visibilità crescenti per dare voce ad individui e temi spesso ignorati dai media ufficiali. Il mediattivismo, è rivolto all'utilizzo tattico dei media, alla loro riappropriazione come strumenti importanti per un'azione di tipo politico. Usare i media in modo tattico significa, per la cultura del mediattivismo, interagire con loro "tatticamente", ossia in maniera creativa e ribelle. Altra caratteristica di questi media tattici è che non sono mai definitivi, ma sempre in divenire il mediattivismo si intende l'insieme delle diverse esperienze di narrazione del contemporaneo. Di una cultura sempre più radicata nell'ambiente sociale e nelle controculture, una pratica di azione politica che può essere messa in atto sia in moti di piazza, che in un ambito più privato, ad esempio attraverso l'utilizzo "notturno" del Web da parte dei cibernauti (hackerismo e net-strike).
I media tattici: Net, radio, tv, video
Il mediattivismo si propone di contagiare ogni ambiente mediale esistente creando reti orizzontali di media che nascono e si sviluppano dal basso. Così il mediattivismo fronteggia la cultura dominante dedicandosi contemporaneamente al Web come alla radio, alla Tv come alla produzione di video e bollettini cartacei "weblog". Cercherò brevemente di citare le realtà più rappresentative per quanto riguarda soprattutto l'Italia e mediatattici legati alla atevideo, per quanto riguardail Web è senza dubbio Indymedia, considerata sia nella sua dimensione di network globale che per quanto riguarda il nodo italiano, uno dei più seguiti del network. Non a caso viene citato- in quanto a visibilità e autorevolezza – da Matteo Pasquinelli, nel suo libro Media Activism dove ha intitolato il secondo capitolo: "il Big Bang di Indymedia".
La rete e Indymedia
Indymedia Seattle è nato per documentare le manifestazioni di Seattle del Novembre 1999. Nasce da un panorama che dalla fine degli anni '60, sull'onda del free speech movement aveva visto sorgere migliaia di radio e fanzine prima, e poi anche di canali televisivi e siti internet, ma soprattutto nasce da quella che si può definire una rivoluzione di techies (tecnici), maghi dell'elettronica e dell'informatica programmatori e sistemisti, web designer e hacker. Il modello inaugurato a Seattle con Indymedia si diffuse molto rapidamente, dapprima in molte altre città nordamericane, in Europa ed in Australia, in seguito in molti stati di ogni continente. Tra qesti il sito italiano di Indymedia, nato nel giugno del 2000, in occasione del vertice CSE di Bologna ed oggi è in assoluto tra i più attivi e visitati nodi di Indymedia al mondo ed offre un interessante strumento di informazione e di dibattito interno al movimento e non solo. Il modello in questione non si propone soltanto come strumento di propaganda ma di scambio di vedute e di crescita collettiva la srategia in sé era rendere il sito quanto più accessibile fosse possibile, non solo per il downloading, ma anche per l'uploading.
Le ANT-TV e il Videoattivismo 
La televisione tende ad essee vista sempre più come il "cavallo di Troia" essenziale per entrare con i propri contenuti nell'immaginario comune prodotto dalla Tv generalista.La TV appare come la più forte per il potere fascinatorio insito nell'immagine in movimento, Il mezzo giusto per creare mondi di verità, mitologie alternative, e parafrasando Bifo delle "infosfere abitabili" da proporre alle persone . E' in questo nuovo vecchio media che si stanno avendo, da un decennio circa, evidenti evoluzioni dell'arte video. Con questi obiettivi e partendo dalla cultura dei cosiddetti open channels piuttosto comuni in nord d'Europa fin dagli anni '80, anche in Italia di recente si lavora ad un'ampia serie di progetti che assumono varie qualificazioni: Tv autogestita, Tv comunitaria, Tv di quartiere, Tv satellitare, ecc. Tutti questi progetti sono accomunati da una piena apertura verso il sociale, essendo trasparenti al contributo di chiunque voglia partecipare ad una narrazione del reale che sia più in linea con i bisogni e i desideri effettivi delle comunità, dei protagonisti della vita quotidiana e cittadina. È in queste nuove televisioni che, ad esempio, può trovare voce l'espressione del pacifismo che spesso viene censurata dai media "ufficiali". L'esperienza di "No War Tv" è lì a dimostrarlo: una rete televisiva che non esiste se non quando sente il bisogno di dare visibilità ad eventi che altrimenti rimarrebbero al di fuori del palcoscenico mediatico. Altri progetti molto interessanti, oltre a quello di "No War Tv", sono quelli di "Telestreet" e di "Global Tv". Il primo è un progetto nato nel giugno del 2002 a Bologna con l'inizio delle trasmissioni di "Orfeo Tv" ed in seguito diffusosi in tutta Italia. Si tratta di un micronetwork fatto di "microemittenti", ovvero televisioni di strada/condominio Trasmettono sfuttando coni d'ombra Attraverso questa strategia si vorrebbe ripetere, nelle intenzioni dei promotori, ciò che è avvenuto negli anni '70 con le cosiddette radio libere. Questa volta però, non più radio ma microtelevisioni. Emittenti che sembrano poter nascere – grazie alle nuove tecnologie – in brevissimo tempo e a costi decisamente contenuti anche là dove c'è più urgenza: è questo il caso di "Telefabbrica" (Tv del circuito di "Telestreet") che ha rappresentato per soli tre giorni l'espressione degli operai della FIAT dello stabilimento di Termini Imerese, vittime di un possibile licenziamento. Altra modalità d'azione della pratica mediattivista è la produzione di video. Video che una volta realizzati vengono distribuiti attraverso i circuiti "underground" (centri sociali, infoshop, ecc.), oppure caricati sulla Rete ed offerti gratuitamente agli utenti o anche trasmessi nei network televisivi comunitari. Gli attori protagonisti di questa pratica d'azione comunicativa sono i video-attivisti che vengono chiamati in gergo Camcorder Kamikaze. Dei Camcorder Kamikaze esiste un vero e proprio manifesto, grazie al quale questa figura è stata definitivamente consacrata nell'immaginario collettivo (mediattivista) e definita come “hero hi-tech” del movimento . Sicuramente le caratteristiche proprie del formato audiovisivo, contaminandosi con le possibilità offerte dalla Rete – streaming e quindi possibilità di trasmettere in diretta; distribuzione massima/costo minimo – hanno determinato il successo mondiale del mediattivismo da Seattle in avanti (1999). In Italia esistono moltissimi video-attivisti che operano singolarmente riprendendo e montando il proprio girato e tanti altri che invece sono riuniti in gruppi dotati di un progetto comune. Esiste inoltre la convenzione fra i video-attivisti di mettere a disposizione della comunità il proprio materiale così da contribuire alla realizzazione di documentari collettivi, come è stato fatto ad esempio per il video su Praga 2000 chiamato "Rebel colours" oppure per il video sull'attentato dell'11 settembre intitolato "9.11", entrambi realizzati grazie ad una cooperazione diffusa. Per quanto riguarda i gruppi di video-attivisti, uno dei più rappresentativi a livello italiano è certamente il già citato "Candida Tv", un'esperienza nata alla fine del ‘99 in concomitanza con la nascita di Indymedia.