di Beatrice Busi
Roma, stazione Termini. Ci incontriamo di fronte all'infobox di Trambus Open Spa. Paola lavora lì. Con lei c'è Tatiana che da un anno lavora a partita Iva sul 110 e gli altri bus turistici dell'azienda comunale. Paola, invece, è una delle quattro lavoratrici a tempo indeterminato della cooperativa Irs Europa, quella che ha l'appalto per il servizio. Ci raggiungono anche Ilaria, che ha un contratto a tempo determinato ed Elisa, anche lei partita Iva. Da mesi sono in agitazione, il 10 maggio hanno scioperato per tutto il giorno, adesione al 100 per cento. Ci prendiamo un caffè e ci facciamo una lunga chiaccherata.
I numeri parlano già molto chiaro. La Trambus Open Spa, figlia per il 60 per cento di Trambus Spa, l'azienda comunale che gestisce il trasporto pubblico della capitale, porta in giro 700 mila passeggeri all'anno su 60 autobus. Solo la linea 110 effettua 96 corse giornaliere, per un costo del biglietto che va dagli 8 ai 13 euro. Il presidente di Trambus Open, ma anche di Trambus, è Raffaele Morese, ex segretario confederale della Cisl. Gli autisti di Trambus Open sono circa 70, ed inspiegabilmente hanno il contratto dell'autonoleggio anzichè quello nazionale degli autoferrotranvieri. Per ognuno di questi autobus è obbligatoria la presenza di una "hostess" che vende i biglietti ed assiste i passeggeri a bordo, mentre a terra altre ragazze svolgono il servizio informazioni. In tutto, le lavoratrici sono circa 55, meno di 10 sono dipendenti non socie della cooperativa, mentre le altre svolgono "prestazioni professionali" a partita Iva. Niente ferie, niente malattia, niente articolo 18. Niente indennità di cassa. E' la quotidianità. Se c'è un ammanco di soldi o un disservizio che causa la richiesta di rimborso del biglietto da parte dei passeggeri, ci rimettono di tasca propria. Se 10 autisti si ammalano, 10 vetture non viaggiano e 10 ragazze non lavorano e non vengono pagate. Sembra una storia di ordinaria precarietà, ma quello che colpisce subito di queste donne, 25 anni di media, è la grande consapevolezza e la determinazione. Sono arrabbiate, hanno "coscienza di gruppo" e molta voglia di raccontare la loro esperienza.
La storia comincia nel 2000, l'anno del Giubileo. L'allora Atac, in particolare il settore che curiosamente si chiamava "Servizi flessibili", decide di lanciarsi nel mercato dell'assistenza al turismo. Nasce la linea rossa a due piani scoperti, la 110 – quella usata l'estate scorsa dalla nazionale di calcio per il bagno di folla dopo la vittoria dei mondiali – e con lei, la società Trambus Open. Vince l'appalto per la gestione del personale "accessorio" a bordo e a terra, la cooperativa "Romasmile" che inizialmente si rivolge alle scuole tecniche e professionali alla ricerca di neodiplomate che vogliano fare la loro prima esperienza nel mondo del lavoro. In realtà, si tratta di stage che prevedono una specie di rimborso spese più un fisso mensile, per fare i biglietti ma anche le guide turistiche.
Paola comincia il suo percorso a ostacoli, con un accordo di prestazione occasionale in ritenuta d'acconto. Ma alla "Romasmile" non ride nessuno, la cooperativa non è "sana", ci sono buchi di bilancio e quando perde l'appalto, le lavoratrici, spesso pagate dopo cinque mesi, perdono interamente tre mesi di stipendio. E' il 2002 e le ragazze si rivolgono al Nidil-Cgil per capire cosa fare. Vorrebbero costituirsi in cooperativa, l'esperienza sul campo ce l'hanno e ci hanno già rimesso troppo nel rapporto con un datore di lavoro. Il sindacato sconsiglia ed è qui che entra in scena la Irs Europa.
La cooperativa, nelle vesti del suo presidente Maurizio Policastro, anche lui ex sindacalista della Cisl e ora consigliere comunale di Roma eletto nelle liste della Margherita, propone alle ragazze di farsi assumere tutte con un contratto co.co.co a due anni, promettendo in più, ferie e malattie pagate. Le ragazze accettano, ma la Irs non mantiene le promesse. Il servizio si espande, vengono acquistati nuovi mezzi, si investe nella pubblicità e nell'immagine di Trambus Open. Eppure le condizioni di lavoro alla Irs peggiorano. Allo scadere del contratto di co.co.co, quattro di loro, quelle destinate al servizio d'informazione a terra, tra le quali Paola e Ilaria, vengono assunte con un contratto a tempo determinato, mentre le altre, se vogliono continuare a lavorare, devono aprire la partita Iva. Le ragazze si oppongono e ottengono il rinnovo del co.co.co, ma le nuove hostess "reclutate" lavoreranno con la partita Iva, come Elisa e Tatiana.
Paola ha una laurea in Archeologia, Ilaria in Letteratura italiana, Tatiana ed Elisa in Lingue e letterature straniere. Anche moltissime delle altre sono laureate o con diplomi e attestati specifici per il lavoro nel turismo, sanno almeno due lingue straniere, tra cui l'arabo e il giapponese, ma vengono pagate 8 euro all'ora lordi, per un mansionario che di certo non valorizza la loro preparazione.
Tutti le hanno sottovalutate, non solo l'azienda. Le ha sottovalutate anche la rappresentanza, sindacale e politica, che da sette anni si rapporta a loro con una buona dose di paternalismo. E' stata la lotta, il confronto e la costruzione di relazioni sul luogo di lavoro che le ha fatte crescere "da sole", una crescita che il lavoro in sè non gli avrebbe mai dato. Loro lo sanno ed è per questo che hanno smesso di subirne i ricatti. Hanno ribaltato la logica dell'azienda che le voleva "accessorie" diventando non solo "essenziali" ma addirittura protagoniste e sono fiere di aver fatto tutto da sole. Autodeterminate e autorganizzate.
Si sono costituite in comitato sindacale di base e ora sono quasi tutte iscritte ai Cobas. Ne parlano un gran bene non solo per il sostegno alle 42 vertenze depositate, ma soprattutto perchè si sentono rispettate nella loro autonomia. Durante lo sciopero, al tavolo organizzato in Campidoglio con i capigruppo del consiglio comunale, c'erano tutte, nessuna delega. Hanno portato un discreto scompiglio, sostenute solo da Adriana Spera del Prc, Fabio Nobile del Pdci, Bonessio dei Verdi e paradossalmente da An.
Ci chiediamo come mai la giunta Veltroni, che tiene tanto alle politiche culturali, non abbia nulla da dire sul fatto che un'azienda al 60 per cento del Comune, dimostra di non avere la minima cultura politica dei diritti delle lavoratrici e delle donne in generale. Il 2007 è anche l'anno europeo delle pari opportunità.
Ridiamo insieme amaramente e le ragazze commentano che putroppo è una «retorica