Da molto tempo mi ripropongo di scrivere qualcosa ai miei colleghi documentaristi, ai critici e a tutti gli addetti ai lavori nell’ambito del documentario; ma in particolare è un po’ di tempo che penso di scrivere rivolgendomi a tutti gli organizzatori di festival del cinema del nostro Paese.
Vorrei cominciare con delle semplici riflessioni.
Con grande soddisfazione negli ultimi anni vi è stato un proliferare di festival che pongono la propria attenzione sul “film documentario” mostrando quindi l’esigenza da parte del pubblico e della società di confrontarsi con la realtà attraverso lo sguardo critico di un’opera documentaria.
L’interesse nei confronti dei film documentari, inoltre, è aumentato non solo tra gli spettatori ma anche tra i giovani e ciò è comprovato dal successo dei workshop e percorsi formativi professionali nell’ambito dell’audiovisivo.
Purtroppo tutto ciò viene del tutto ignorato dalle televisioni pubbliche e dalle società di distribuzione cinematografica impedendo in tal modo uno sviluppo tecnico-qualitativo delle opere  italiane, necessario per un confronto alla pari con la produzione documentaristica europea.
Fatta questa breve premessa mi voglio rivolgere direttamente ai nostri “bravi” organizzatori di Festival del cinema e del documentario chiedendo loro che mi spiegassero da dove nasce questa affezione così forte con la parola inedito. Cosa li affascina e cosa li induce a ritenere questa parole irrinunciabile nella stesura dei regolamenti dei festival.
Vorrei capire cosa spinge un organizzatore di festival che vive in un Paese in cui il documentario è emarginato dal sistema televisivo, produttivo e distributivo a pretendere che la partecipazione di un’opera documentarista passi innanzi tutto dal fatto di essere inedito.


Non riesco a capire cosa passa per la testa dei nostri cari direttori dei festival, non riesco a capire perché debba prevalere questa autoreferenzialità, quando invece occorrerebbe che si creasse una collaborazione tra autori, produttori, critici e organizzatori di eventi al fine di rompere questo muro di omertà, costruito ormai da troppo tempo, dalle televisioni pubbliche che continuano a ignorare il documentario sociale d’autore.
Se il documentario in Italia non cresce qualitativamente  neanche i festival cresceranno e non rimarrà altro che farsi l’ennessima guerra tra poveri.
In questo Paese nessuno vuole mai fare “un passo indietro” e ammettere che forse un errore si è fatto. Mai nessuno vuole fermarsi per riflettere pochi istanti sul senso delle scelte ma chiedo ai Direttori dei festival e a tutti gli organizzatori di immaginare di mettersi nei panni di un autore che lavora da due anni ad un progetto documentario e che vede come prospettiva la possibilità che il proprio lavoro possa essere visto una sola volta ad un solo festival italiano;
Non vi sembra presuntuoso pensare che la partecipazione al vostro festival renda un opera “edita”?
Spero che qualcuno voglia rispondermi e aprire un dibattito con gli autori.
Vorrei infine lanciare un appello ai documentaristi affinchè questa lettera (o un’altra arricchita da contributi di varia provenienza) possa diventare una petizione da presentare ai festival.
Chiedo infine al portale il documentario.it di farsi promotore di questa campagna di adesione.
 
Antonio Bellia
E-mail: bellia@demetraproduzioni.com